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LE RELAZIONI PERICOLOSE
(DANGEROUS LIAISONS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 13 aprile 1989
 
di Stephen Frears, con Glenn Close, John Malkovich, Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, Keanu Reeves (Stati Uniti, 1988)
 
"Prima di ogni altra cosa, queste RELAZIONI PERICOLOSE dimostrano una volta ancora come il cinema sia essenzialmente uno strumento. Esattamente come un pennello, uno scalpello o una penna esso permette all' artista d'intervenire sulla realtà, d'incidere su di essa attraverso il proprio sguardo; indipendentemente dal genere e dalla qualità dell'oggetto osservato. Sarà un'altra e sola qualità a contare alla fine: quella dello sguardo.

Affascinante esemplificazione di questo processo, l'ultimo film di Sthephen Frears ci mostra l'autore estremamente (e pericolosamente ormai) tipato di MY BEAUTIFUL LAUNDRETTE, di PRICK UP YOUR EARS e del recente SAMMY E ROSIE VANNO A LETTO dar prova di un bel gesto di coraggio: quello di passare dall'illustrazione provocatoria delle diversità sociali (ed eventualmente sessuali) della Londra dei nostri anni, a quella -forse altrettanto provocatoria, ma di tutt'altra ispirazione e cultura- del Settecento francese, che fa da cornice al classico della letteratura libertina di Choderlos de Laclos. Un coraggio che paga: oltre ogni speranza, l'inequivocabile maestria del cineasta inglese esce magnificata da questo cambiamento.

Essa continua a costruirsi sui medesimi attributi: l'arte d'inserire una situazione in un determinato ambiente, la scelta degli attori, ed il dialogo.

Ma passare dai marginali contemporanei a quelli letterari significa per Frears dover privilegiare la terza di queste prerogative: e sacrificarle la prima, che arrischiava di diventare un semplice compiacimento. Sulla base delle sceneggiatura di Christopher Hampton (e sul lavoro teatrale ricavato dal romanzo, opera dello stesso Hampton) Frears deve frenare i propri sapienti, ed al limite ingombranti entusiasmi decorativi: e mettersi al servizio della parola.

LE RELAZIONI PERICOLOSE diventa così uno dei migliori esempi di come l'immagine possa servire la fruizione del linguaggio. E viceversa: dal continuo rinvio fra testo ed immagine (montaggio magistrale, e utilizzazione delirante dell'ellissi cinematografica) nasce una meccanica preziosa. Un gioco estetico altrettanto perfetto di quell'altro che ci racconta Laclos: l'intrigo, quasi poliziesco, che obbliga lo spettatore ad identificarsi alle celebri trame perverse della marchesa di Merteuil e del visconte di Valmont. Ma una meccanica rimane pur sempre un oggetto di fredda precisione: a conferirle un'anima interviene allora la sensualità del regista, la qualità dei dialoghi (mai volgari, ma nemmeno accademici), l'aderenza degli attori (Glenn Close, mille volte più perversa e mille volte più umana che nel baracconesco FATAL ATTRACTION; e, soprattutto, uno straordinario John Malkovich nel ruolo del visconte, vero specchio delle forze contrastanti che animano i personaggi), l'essenzialità, tutta tesa a strutturare la vicenda e mai a decorare, dell'uso scenografico ed ambientale in genere.

Sul filo così affascinante nella logica illuministica dell'epoca, della parola che invade ogni istante del film, a cominciare da quello sessuale (con deliziosi fondi schiena utilizzati a mo' di scrittoio...), i personaggi ed i sentimenti finiscono allora per rivelarsi ciò che sono: delle maschere (l'incipriata iniziale del visconte, l'inquadratura finale della marchesa che si strucca dei tragici cosmetici) non molto diverse da quelle indimenticabili di BARRY LYNDON. Come quelle di Kubrick, una volta abbassate esse rivelano la fragilità dei sentimenti, la vanità delle impossibili conquiste, il perbenismo di una classe sociale che faceva delle apparenze la ragione d'essere.

È questa tenerezza per la vittima, oltre che seduzione nei confronti della perversità (già presente nei film precedenti del regista inglese) che addolcisce la meccanica implacabile del film: tenerezza per le vittime designate (la verginella adolescente, il musicista romanticamente ingenuo, la Penelope devota) ma soprattutto per coloro che dal piacere dell'astuzia sprofondano negli abissi delle sfide impossibili, fino alla scadenza dei sentimenti, alla consolazione dell'amore, ed alla morte.

Anche se in qualche episodio affrettate (il personaggio di Michelle Pfeiffer, eccessivamente sfumato per farci credere allo scombussolamento del diabolico visconte), se talvolta ai confini dell'eccesso di dimostrazione - o, se preferite, della paura del non detto - queste RELAZIONI PERICOLOSE rimarranno comunque privilegiate fra quelle altre, frequenti relazioni che il cinema intrattiene con la letteratura. Riconciliandoci, in questi tempi di grandi temi tagliati a braccio, con quei temi semplici ma piegati ad arte che caratterizzano il cinema dell'intelligenza."


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